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PSICOLOGIA DEI COLORI

BLU

di Alfredo Sgarlato

Alfredo Sgarlato psicologo e critico d’arte

Gli antichi romani non sapevano produrre il colore blu, a differenza degli egizi; per questo lo odiavano e lo riservavano, nei combattimenti al Colosseo, ai barbari più violenti.

Per distinguersi dai romani i Franchi lo scelsero come colore simbolo. Nella bandiera repubblicana francese il blu è associato al concetto di libertà. Ciò avvenne perché, con l’affermarsi della borghesia, questa fece propri due valori, la libertà e il buon gusto, sconosciuti all’aristocrazia (che non ne sentiva il bisogno) e al volgo (che in quanto tale, poteva essere volgare): nel mondo antico, legato a una visione determinista e animista della realtà il concetto di libertà, come di libero arbitrio, era incomprensibile, e essere libero significava semplicemente non essere uno schiavo.

E per il borghese dell’epoca buon gusto voleva dire vestire in blu, diversamente dai chiassosi vestiti dei nobili. Quando poi si diffondono i blue jeans, legati all’immagine di giovani star come Marlon Brando e James Dean, invece della libertà borghese (sostanzialmente il liberismo economico) il portare abiti blu diventa simbolo della ribellione giovanile.

In inglese “blue” sta anche per “malinconico”, da cui blues per indicare le tristi canzoni degli schiavi neri, e “blue note” per indicare la percezione che ha l’orecchio occidentale delle scale della musica jazz, in cui alcuni intervalli (quinta o settima) sono leggermente calanti.

Col ‘900, quando la diffusione della fotografia fa sì che si rifiuti il primato del realismo, gli artisti sono affascinati dai colori primari, e la dominante blu è tra le più amate, vedi il “Periodo blu” di Picasso, fino a Klein che brevetta la gradazione di blu dei suoi monocromi.

Nel test di Lüscher, in cui si ha una diagnosi di personalità attraverso la scelta/rifiuto di alcuni colori, il blu indica introversione, tendenza alla cerebralità e alla spiritualità, ma anche alle dipendenze.

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